Il 4 e il 5 ottobre 2019 si è tenuto a milano l’evento “Onlife: il futuro visto da vicino” organizzato da la Repubblica e interamente dedicato alla cosiddetta “società digitale”
Tra gli interventi più rilevanti quelli del Prof. Luciano Floridi e del Prof. Maurizio Ferraris che raccontano di come la tecnologia digitale stia riontologgizzando il mondo (ovvero di come l’uomo, attravaerso la tecnologia digitale, stia riontologgizzando o comunque permettendo la riontologgizzazione del mondo) e di come rischiamo di adattare l’umanità e il mondo alla tecnologia digitale e non viceversa.
Secondo Luciano Floridi viviamo una commistione tra “digitale” e “analogico”: i due mondi non sono più separati e distinti. Abitiamo una “società delle mangrovie” (l’Infosfera) in cui, per le piante, l’acqua non è più soltanto dolce o soltanto salata ma, appunto, salmastra e per gli uomini vale la mescolanza tra il mondo analogico e mondo digitale, motivo per il quale non ha più molto senso domandarci se siamo “off line” o “on line”.
La verità è che siamo tutti in qualche modo onlife, come ampiamente argomentato (da Floridi e altri) nel volme “The Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era” (download gratuito nella versione pdf)
Questa importante novità concettuale pone tutta una serie di quesiti per il quali è necessaria una risposta ma soprattutto una risposta che sia figlia di un altrettanto radicale cambiamento di approccio alla problematica.
Gli Intelligence Studies e il mondo dell’intelligence in generale – e sfortunatamente, nel nostro caso, anche il Legislatore – sono ancora molto indietro in questo senso, arroccati su una concezione unicamente tecnicistica del cosiddetto ciberspazio, su una visione “del digitale” come qualcosa di avulso dalla realtà fattuale, un ambiente a sé stante la cui soglia si può decidere di varcare (o meno) a piacimento.
Dunque il mondo sta cambiando e gli studi di intelligence – che per definizione dovrebbero servire ad anticipare certe dinamiche – scelgono invece di dedicarsi “anima e corpo” agli attacchi informatici e al cyberspace come fosse una entità che evidenzi una soluzione di continuità dal restante “spazio non cibernetico” (ma poi in effetti tutto lo spazio è “cibernetico”); scelgono di impiegare tempo e risorse alla pratica della definizione (anche legale) di “perimetri di sicurezza cibernetica” all’interno di un contesto in cui è il concetto stesso di “perimetro” a non essere più applicabile, ovvero in una realtà all’interno le acque sono salmastre e non più soltanto dolci o soltanto salate.
Intendiamoci, non stiamo qui criticando gli sforzi profusi in materia di “sicurezza cibernetica” (o meglio di sicurezza delle tecnologie in senso generale) che sono assolutamente importanti e necessari. Si sta soltanto ribadendo – ancora una volta – che problemi di tipo strategico necessitano prioritariamente di una soluzione al livello strategico (tipologia di problemi, questa, che gli studi di intelligence dovrebbero dimostrare di saper gestire meglio di chiunque altro… ) e questo cambiamento di paradigma è certamente prima di ogni cosa un problema di natura strategica.
E’ perciò imperativo che gli studi di intelligence evolvano anche in questo senso e per farlo devono prima di tutto innovare il proprio assetto disciplinare. D’altra parte è esattamente questo il senso della proposta contenuta all’interno della Trilogia dedicata alla Teoria Generale per l’Intelligence delle Fonti Aperte il cui assetto teoretico si fonda – non a caso – proprio sulle teorie e sugli studi del Prof. Floridi e del Prof. Ferraris.
Di seguito gli interventi dei due esperti sui quali consiglio di riflettere con l’attenzione che meritano… aspettando, con fiducia, il tempo in cui esisterà anche una “Intelligence delle mangrovie“.